Piero Lazzari. Occhi, cuore e testa di un fotografo
«È un’illusione che le foto si facciano con la macchina…si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa». È una citazione di Henri Cartier-Bresson. Una citazione del più grande fotografo di tutti i tempi, ancora oggi insuperato. Una citazione che chi scrive ha scelto con la consapevolezza di non poter essere, e non volere essere obiettivo. Lungi da me l’idea di paragonare la grandezza tecnica, artistica, immaginifica di Cartier Bresson alla fotografia dell’amico Piero Lazzari.
Peccherei di presunzione di giudizio, e sarei irriverente e irriguardoso nei confronti di entrambi: il mostro sacro dell’arte fotografica mondiale, da un lato; un solido e capace professionista, dall’altro. E però, la citazione di Cartier-Bresson, capitatami per caso in un pomeriggio di pigra navigazione sul web, ha riportato la mia mente alle foto di Piero. Foto che, è di tutta evidenza, sono scattate, prima che con la macchina fotografica, con gli occhi, con il cuore, con la testa. Penso in particolare ai ritratti di Piero Lazzari; penso alle sue foto in bianco e nero.
La verità del bianco e nero
Nel bianco e nero, questo lo affermo con profonda convinzione, Piero Lazzari esalta tutte le sue qualità di solido professionista, a mio avviso quasi giungendo a vette di “arte fotografica”. Il suo obiettivo raggiunge livelli di introspezione che non sarebbero altrimenti possibili se non impiegati, ben oltre la “tecnica”, attraverso gli occhi, il cuore e la testa: sia del soggetto, davanti l’obiettivo; sia del fotografo, dietro al mirino.
Ancora una volta mi sovviene alla mente un’altra citazione, questa volta di un altro grande fotografo ritrattista, l’argentino Humberto Rivas:
«il ritratto è sempre un autoritratto, una versione del suo autore».
Dunque se una foto, uno stile possono identificare un fotografo allora, per analogia, mi viene da affermare che Piero Lazzari è “il bianco e nero” delle sue foto. Il bianco e nero è la verità dell’immagine: la luce, le ombre, le infinite sfumature di grigi, che diventano linee nette, oppure tratti indistinti e vaporosi, in un continuo gioco di rimandi. Nel bianco e nero non puoi barare, la luce ti può essere amica e nemica allo stesso tempo, e le ombre, l’oscurità dietro i profili, non ti fanno sconti.
Una tradizione di famiglia
Piero Lazzari inizia la sua carriera come fotografo matrimonialista nel 1984, erede di uno stile fotografico sobrio ed elegante che coltiva con passione. Il nonno ed il padre erano fotografi e Piero, attraverso di essi e nel corso della sua carriera, ha vissuto l’evoluzione della macchina fotografica e, insieme, del linguaggio delle immagini che, come la scrittura, ha le sue regole di grammatica e di sintassi.
Scrivo queste righe su Piero Lazzari, come detto all’inizio, in prima persona, senza alcun filtro di obiettività, anche per un afflato di tipo generazionale. Appartengo alla generazione dei giornalisti che hanno iniziato con la Olivetti Lettera 32; Piero appartiene alla generazione della fotografia analogica, della pellicola. Io: foglio bianco, sistemazione dei margini, e via andare… tasto dopo tasto, senza commettere errori, con il pezzo già in testa e le dita che inseguono le parole. Piero: macchina, pellicola, obiettivo, messa a fuoco e click, uno scatto dopo l’altro, un rullino dopo l’altro, senza commettere errori, con l’occhio, il cuore e la mente che inseguono l’attimo: l’istante decisivo.
Una foto: l’istante decisivo
Ed ecco che il mio ragionamento mi riporta a Cartier-Bresson, in una sorta di loop concettuale. La teoria dell’istante decisivo, la chiave della elaborazione e rielaborazione della fotografia che diventa arte. «Il fotografo – scrive Giuseppe Santagata, critico di “Fotografia Moderna” – deve cogliere la vita di sorpresa, come se stesse per svegliarsi e le sue immagini devono fermare i momenti in cui il mondo sembra organizzarsi in tanti flagranti delitti. Il momento decisivo rappresenta il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un evento così come della precisa organizzazione delle forme che danno a quell’evento la sua propria espressione».
Gli occhi nell’obiettivo
Qualche tempo fa ho scambiato due chiacchiere con Piero e gli ho chiesto cosa lo aveva colpito di questi due anni di pandemia, che tanta vita ci ha sottratto, e come stava vivendo la professione, con la ripresa delle cerimonie e dei ricevimenti di nozze. «Gli occhi!» mi ha risposto. Una risposta secca, priva di orpelli lessicali.
Una parola pronunciata come fosse una immagine. Che non ho compreso immediatamente. Una parola, un’immagine. Un lampo e insieme arriva la spiegazione di Piero Lazzari: «ai matrimoni, i volti coperti dalle mascherine di gran parte degli ospiti, lasciavano liberi davanti al mio obiettivo solo gli occhi, e a parte gli sposi e pochissimi intimi, tutti erano costretti a coprire il volto e lasciare liberi solo gli occhi. Io sui volti e sui sorrisi ci lavoro. Avere metà dei loro volti, solo gli occhi, per me è stata una “sottrazione”».
Ma sull’altra metà, sugli occhi, Piero ha lavorato anche con la consapevolezza che ogni scatto era un pezzo di storia, personale, degli sposi e dei loro ospiti, ma anche storia comune e condivisa di ognuno di noi, di ogni singolo individuo che la temperie della pandemia ha vissuto. Ogni foto un’immagine che sarà, nel futuro, nostro malgrado, storia.
La storia sulla linea di mira
Nella sua dimensione professionale, Piero Lazzari il segno lasciato dalla realtà nella storia lo ha colto: in ogni singola foto, e non nasconde di essere appagato che questi suoi scatti approderanno, anche nel prossimo futuro, davanti allo sguardo curioso di altre generazioni. Mi sovviene in aiuto ancora Cartier-Bresson: «Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale.
Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere». Piero Lazzari scatta le foto con lo stesso spirito. Ogni click non un modo “per” vivere ma, prima di ogni altra cosa, modo “di” vivere.
TRAPANI
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