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La dote e il corredo quando erano un obbligo. I linzola di Matapolla

Breve estratto dal musical “Pipino il breve” (1978) di Tony Cucchiara, nel quale il coro canta meglio e più di un trattato sociologico la descrizione de ‘U Curredo’: la dote. Oggi non più in uso, la dote, in antichità accompagnava, quando la famiglia poteva, la nubenda verso il suo nuovo ruolo di sposa e padrona della casa.

Milli bustini di tila di linu, chistu a so figlia so patri ci dà. Milledducentu tuvagli di filu, e re Pipinu cuntenti sarà…Milli linzola di matapolla, chistu a so figlia so patri ci dà.

La dote al tempo di greci e romani

Già per i Greci la dote era una sorta di risarcimento economico per le donne che, prive di ogni ruolo sociale e di alcuni diritti come quello all’eredità, uscendo dal nucleo familiare paterno, in caso di divorzio o di vedovanza, avevano come unica garanzia di sopravvivenza solo i beni forniti loro prima del matrimonio. Anche in epoca romana, dal punto di vista giuridico, la dote era vincolata: né il padre, né i fratelli, né il marito e ovviamente neppure la stessa donna, potevano disporne. Proprio i romani, creatori del diritto che ancora oggi è alla base dei nostri codici, nelle diverse formule nuziali stabilivano principi e regole nelle “tabulae nuptiales”; una sorta di “contratto o accordo prematrimoniale” anche se la definizione è impropria, che aveva, oltre alla funzione di trasmettere alcuni beni con il matrimonio, anche quello di contribuire alle spese delle nozze.

La dote, nata come una liberalità, sia pure regolamentata, divenne con i secoli addirittura obbligatoria attraverso il codice giustinianeo (VI secolo d.C); un istituto, seppure modificato, che sopravvisse in Italia fino al 1975, quando, con la riforma del diritto di famiglia, uomo e donna furono messi sullo stesso piano con eguali diritti e doveri e, pertanto, fu vietato.

la dote in sicilia

 

La dote onere della famiglia della sposa

Al di là dell’obbligo giuridico, la dote, venne considerata fino ad alcuni decenni fa, un onere morale e un obbligo da parte della famiglia della sposa ed un vincolo sociale da parte della famiglia dello sposo. Sottinteso, purtroppo, il secondario ruolo sociale ed economico della donna, oggi superato, almeno dal punto di vista giuridico e culturale. Nella nostra società contadina, ma anche tra le popolazioni urbane delle città siciliane, e forse nell’intero Paese, la dote era costituita da una cassapanca contenente il corredo che doveva consistere di un certo numero di lenzuola, tovaglie, piatti, bicchieri ed altri suppellettili per la casa. Più raramente la dote era accompagnata anche da poche gioie di famiglia e qualche pezzo di mobilio. Solo le famiglie più ricche, nobili e borghesi, potevano permettersi di più.

Oggi più che di dote si deve parlare di una condivisione delle spese, tra nubendi, per l’allestimento della nuova casa. Semmai le doti sono ‘residuali’ e legate a memorie affettive, cioè provenienti da patrimoni familiari che furono davvero dote delle mamme e delle nonne: tovaglie di lino ricamate, lenzuola di particolare pregio, anelli e bracciali dei nonni. Oggetti, molti di manifattura artigianali, oggi difficilmente acquistabili attraverso la distribuzione industriale.

 

Un buon partito: chi non sposerebbe un uomo con questa dote?

La dote, anche tra le classi meno abbienti, non fu prerogativa femminile, come dimostra la lettera che segue. È una vera e propria minuta, rilasciata al futuro consuocero, come fosse un vero e proprio “accordo prematrimoniale”. Un elenco che prova e certifica la solidità patrimoniale di un giovanotto che si apprestò alle nozze più di un secolo fa e che ebbe dal padre, benedizione di assoluta virilità, anche “2 femma mustazzo, quello che serve per farisi a barba e pi fumari a pipa” e perfino, con un po’ di macabra preveggenza, “2 fasci ppi luttu”. In questo caso si tratta di un contadino benestante, piccolissimo proprietario terriero, curatolo o colono, già affrancato dal lavoro in affitto, dall’enfiteusi e dalle forme di sfruttamento che caratterizzarono l’agricoltura siciliana fino agli anni ’50.

La lettera, non modificata in nessuna sua parte, tranne che per alcune traduzioni tra parentesi per maggiore comprensibilità, è datata “Carlentini 9 marzo 1893”.

 Io Cammarata Peppe ca binirizione di Diu e di tutti i Santi dogno in dote a mio figghiu Turi chiddu ca scrivu:

4 tumini ri terra a Panculi
una scecca e un puditru (puledro)
un carrettu ccu tutti l’armiggi e li cosi ca servunu ppi lavurari
uno pastrano, un paro di vettuli (bisacce)
Una piritera a tubu
una piritera a cannolu
4 funni a Napuliuna
4 a Sciurtinu
4 manghione di lana
4 di cotone
durici quasetti accattati
4 fatti a manu
4 duzzini di fazzuletti diversi
1 cammisa fini
4 cammisi pisanti
una pezza di robba ppi fari cucere cammisi
4 cause usate e 4 nove
roba ppi cucere cause
2 bunache (giacche)
1 vestito di spusalizio cucito dal custureri (sarto)
2 paru di scappuna fatti fari a Vizzini
2 scappini ppi nesciri
2 legacci
2 fasci ppi luttu
2 femma mustazzo
Quello che serve per farisi a barba e pi fumari a pipa.
Cammarata Peppe

 

Un po’ di informazioni su “U Curredu” (il corredo)

Tony Cucchiara (Agrigento, 30 ottobre 1937 – Roma, 2 maggio 2018) originario di Agrigento, ma catanese d’adozione, è stato cantautore, interprete, ed è stato apprezzato autore teatrale e televisivo (è stato tra gli autori di Mattino in Famiglia insieme a Michele Guardì)
altre informazioni su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Tony_Cucchiara
su musical store: http://www.musicalstore.it/artisti/tony.htm.

Il testo integrale di U Curredu che potete leggere in basso è tratto dal musical “Pipino il Breve” del 1978.
Il link per ascoltare il brano da youtube è il seguente: http://www.youtube.com/watch?v=gV5QP5Z0IXI&feature=related.
Sempre su Youtube è possibile vedere spezzoni dello spettacolo nell’adattamento televisivo per la RAI del 1983, produzione Teatro Stabile di Catania con Tuccio Musumeci nei panni di Pipino.

 

U corredu

Milli bustini di tila di linu
chistu a so figlia so patri ci dà

Milledducentu tuvagli di filu
e re Pipinu cuntenti sarà.

Milli suttani ‘ntissuti d’argentu
chistu a so figlia so patri ci dà

Milledducentu fadali di pannu
e re Pipinu cuntenti sarà.

Milli furchetti cucchiara e cutedda
chistu a so figlia so patri ci da

Milledducentu pignati e padedda
e re Pipinu cuntenti sarà.

Centu cuperti cusuti cu l’oru
chistu a so figlia so patri ci dà

Sei cuttunini p’u friddu ‘i jnnaru
e re Pipinu cuntenti sarà.

Centu para cosetti ‘i cuttuni
chistu a so figlia so patri ci da

Centu scarpini di peddi ‘i muntuni
e re Pipinu cuntenti sarà.

Milli linzola di matapolla
chistu a so figlia so patri ci dà

Milli vistini pi pariri bella
e re Pipinu cuntenti sarà.

Milli e cchiù camicetti di sita
chistu a so figlia so patri ci dà

Milli mutanni ci duna ala zita
e re Pipinu cuntenti sarà.

Unnici scrigni chini ‘i diamanti
chistu a so figlia so patri ci dà
centucinquanta tra aneddi e pinnenti
e re Pipinu cuntenti sarà.

Sciatu di l’arma pezzi di cori
chistu a so figlia so patri ci dà
ca vali cchiù di ducentu tesori
e re Pipinu cuntenti sarà.

 

 

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