Cunnucimenti forzati. “L’arte di annacarsi”

Nei film, sui libri, sulle riviste, tra una chiacchiera e l’altra, quando si dice “il giorno più bello” s’intende quello del matrimonio; del proprio matrimonio, perché ognuno ha il suo, di giorno più bello, e forse tanto dovrebbe bastarci: un giorno più bello ciascuno e siamo pari e patta!

Si viene travolti dall’emozione che, grazie al cielo, si trasforma nel quantitativo di adrenalina necessario alle frenetiche organizzazioni, ai folli vagli, alle scelte ed ai ripensamenti sui vari “come” e “quando”. Ciò che una buona organizzazione non dovrebbe trascurare, anche quando il desiderio di offrire una serata spettacolare o un pranzo indimenticabile è superiore a quello di riuscire ad essere opportuni e discreti, sono quei tediosissimi frangenti in cui gli invitati attendono gli sposi. Non stiamo parlando dell’attesa della sposa prima che inizi la cerimonia, perché quella ha anche essa una sua tradizione e, purché non superi la mezz’ora, consente alla festosa comitiva di guardarsi intorno, di rincontrare qualche vecchio amico, di ricordare qualche episodio legato alla coppia di sposi, di emozionarsi quando finalmente arriva l’auto spumosa di tulle e strass.

Le attese che rendono spesso intolleranti gli invitati, sono quelle tra la cerimonia ed il ricevimento. Sempre più spesso gli orari delle funzioni sono vincolati dagli impegni delle parrocchie o delle aule comunali e ci si vedono recapitare inviti a matrimoni per le nove e trenta del mattino o per le quattro del pomeriggio.

Ora, quand’anche, nella peggiore delle ipotesi, una funzione matrimoniale dovesse prolungarsi oltre l’ora e mezza, i poveri invitati come si “cunnucino” dalle cinque e mezza del pomeriggio fino all’orario di cena? Qualche stoica camminatrice su tacco dodici, verrà trascinata da un gruppetto di amici ritrovati a prendere un caffè e fare due chiacchiere prima di risalire in auto per raggiungere il luogo deputato al ricevimento; qualche nonna e vecchia zia se ne tornerà a casa a prendere la sua mezza dozzina di pillolicchie preprandiali onde rallentare l’effetto degli zuccheri in eccesso previsti; nel frattempo gli sposi si rifanno il trucco per posare per il loro favoloso album colorato di tramonti e luccichii di onde e sale.

Qualunque attività si voglia intraprendere tra il lancio del riso e l’appostamento strategico in prossimità buffet, gli invitati tutti sanno che dovranno attendere almeno un paio d’ore per rivedere la sorridente spumosa coppia! Un disastro! Il giorno più bello di chiunque altro, a meno che non ci veda in qualche modo coprotagonista, sarà funestato da questi insopportabili tempi morti.

Come mai non viene in mente a nessuno l’opportunità di offrire una merenda pantagruelica! Non sarebbe un’originale alternativa ai pranzi? Siano essi dinamici tra il buffet degli antipasti, delle carni, dei pesci, dei dolci o statici intorno a tavoli con segnaposto e menù arrotolati dentro al tovagliolo.

Ci piace fantasticare su un giardino popolato da bianconigli e cappellai matti che si aggirano intorno a tavolini da tè su cui troneggiano alzate di pasticcini e panini al latte, bricchi di cioccolata calda e coppe di frutta colorata. Magari tra musiche, chiacchiere, auguri ed abbracci si potrebbe anche arrivare ad un’allegra spaghettata per gli amici più intimi, restati insieme agli sposi, per festeggiare in modo più sincero e rilassato.