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Frida Kahlo

Esempio di forza, determinazione e sofferenza

“L’unica cosa positiva è che sto cominciando ad abituarmi alla sofferenza…” Così scriveva Frida Kahlo al suo primo e giovanile amore Alejandro, il 5 dicembre del 1925, poco dopo aver vissuto con lui un terribile incidente sull’autobus di legno, che la rese inferma per tutta la vita. Nel continuo ossimoro della sua intensa esistenza, tra felicità e dolore, tra amori passionali e solitudini esistenziali, Frida è diventata negli anni, da “donna minuscola”, che all’inizio del XX secolo inseguiva il successo nel suo Messico, pullulante esclusivamente di artisti uomini, tra cui il grande Diego Rivera divenuto suo marito, in una “donna straordinaria”, soprattutto artisticamente, dal carisma mitico e indiscutibile, che ha tratto dal dolore una spontanea leggerezza nel vivere.

La straordinarietà di Frida sta, infatti, in molti contrasti, in una dialettica permanente. Scontrosa e fiera nelle durezze del volto, eppure allegra e splendente nell’intimità dei suoi rapporti sociali, onnipotente nel suo modo di stare nella vita, ma tremendamente infelice di essere una storpia; è un animo sensibile e bisognoso d’amore, ma in un corpo mutilato e spezzato.

Oggi è icona di forza dirompente, astro motore di lotta, libertà e indipendenza per i gruppi femministi.

In realtà l’incidente fu soltanto un tassello in più ai suoi mali fisici, poiché già da bambina aveva contratto la poliomielite e soffriva di scoliosi e problemi circolatori. Coltivò la sua condizione di malata come un luogo sperimentale di angosciosa solitudine, ma anche di solarità miticizzante.

Dai suoi ritratti, così massicciamente ingombranti della sua personalità, che la ritraggono sanguinante e ferita, addolorata e sofferente, affiora però un’energia mordace, una volontà del vivere che è tutta forza. Per chi ha avuto la fortuna di vedere una sua mostra – come chi scrive – vi assicuro che quell’immensità e quella desolazione allo stesso tempo, prorompono da ogni tela che vive di una magia eterna, come eterna è la sua arte che André Breton definì “un nastro intorno a una bomba”.

Selvaggia e passionale, Frida Kahlo ritrae se stessa in modo quasi ricorrente: una donna di origini meticce, con indosso vestiti messicani, anelli, colori sfavillanti e con scimmie e uccelli che vivevano con lei nella Casa Azzurra a Coyoacán, laboratorio della sua anima e oggi il suo museo.

Dai suoi quadri evince tutto il folclore messicano, i simboli della sua infanzia, l’arida vegetazione della sua terra, la fede nella rivoluzione, in cui il popolo del Messico oppresso ha combattuto con ardore contro le minacce armate degli imperialisti. Nonostante l’adesione al Comunismo, l’arte di Frida però non è politica, non è rivoluzionaria, ma è una pittura-specchio che le ha permesso di esprimere se stessa. Si ritrae in tutta la sua cruda bellezza, con i suoi baffi e il mono ciglio – tanto amati dal marito Diego – , si ritrae sofferta con la colonna vertebrale spezzata, le corone di spine e i suoi aborti, e ancora, tra le icone sacre come la Madonna dei Dolori o nel suo paradiso ancestrale e mitico, che riconduce al passato maya e azteco.

Nei suoi dipinti compaiono idoli di questi popoli lontani, che suggellano la forza e la tradizione del Messico. Per lo stesso Diego, l’arte di Frida Kahlo è “una vita che contiene tutte le vite, è luce e ombra, miracolo duraturo”.

La famiglia della pittrice e il suo adoratissimo marito sono anche al centro delle sue opere, dei suoi ritratti, così sofferti, così intimamente dipinti e dal languore monumentale. Perché essa, dallo specchio sopra il suo talamo da inferma, poteva solo vedere il suo io, la sua anima, Frida in Frida. Ha iniziato a ritrarsi dopo l’incidente, quando i gessi e l’immobilità cui dovette sottoporsi per mesi, la costrinsero a far qualcosa. Non una vocazione quindi, ma una pressione, dettata da quello specchio che dall’alto la assillava nel dolore, mostrandoglielo continuamente.

Sempre per dirla con Diego Rivera, “Frida è un’artista, forse l’unica, che si è strappata il seno e il cuore per dire la verità biologica di quel che sentiva”.

Frida, tuttavia, nel dolore era libera! Persino dopo l’amputazione della gamba scrisse: “cosa devo farmene dei piedi se ho ali per volare!”.

“Viva la vita!” sono tra le ultime parole scritte nel suo diario prima della morte, il 13 luglio 1954, per embolia polmonare. Nonostante le avversità della sua “piccola lucciola ansimante”, Frida Kahlo ha sempre vissuto la sua vita con passione. Nelle sue tele, l’angoscia, il piacere, la morte, l’armonia, sono stati insieme un processo per esistere, forme e colori per affrontare con lacerata frontalità il presente, figure per gridare al mondo che la sofferenza può essere elusa, a volte.

La forza della Kahlo sta nell’averci lasciato immagini, seppur mutilate, salvifiche. La sua arte vive per ricordarci di una donna straordinaria, il cui messaggio è difendere, pur nell’angoscia, la bellezza e la speranza.

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